
Dietro a ogni guerra c'è un movimento di amore e anche chi uccide, lo fa perché mosso da qualcosa di grande
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Si può dire di tutto sull'essere umano, meno che non sia un animale particolarmente passionale, anche quando la passione consiste nell'odio e nella violenza. Questi due sentimenti ci fanno paura, per questo cerchiamo sempre di condannarli, di allontanarli, etichettando come "cattivo" chi odia e chi manifesta violenza. In questo modo, però, non riusciremo mai a capire in cosa consistono come fenomeni, e ogni volta è un'opportunità che perdiamo.
Alla luce delle Bioscienze Sistemiche, noi facciamo esattamente l'opposto: cerchiamo di aprirci a ogni fenomeno che riguarda il comportamento umano, perché il comportamento umano è comunque vita.
Un amore cieco, rivolto all'indietro
Come abbiamo già avuto modo di approfondire e verificare in migliaia di occasioni con i nostri lavori, anche l'odio, la violenza e di conseguenza anche la guerra sono movimenti d'amore. È un amore cieco, un amore infantile, l'amore del bambino che quando si arrabbia spacca tutto. Un amore che cerca di appartenere, di compensare o di vendicare, ma lo fa in modo goffo.
Non è l'amore che libera, ma è l'amore che lega, è l'amore che soffoca.
Come diceva giustamente Bert Hellinger, anche chi uccide lo fa spesso per amore. Io direi che lo fa sempre per amore, ma è un amore rivolto indietro, un amore che cammina indietreggiando, non un amore che edifica.
L'ordine violato e il sangue degli esclusi
La guerra serve chi è stato escluso. Serve finché quell'escluso non viene finalmente visto, riconosciuto, onorato. E il conflitto continuerà a chiedere sangue per ottenere uno sguardo, per ottenere inclusione. Questi, d'altra parte, sono gli ordini fondamentali della vita, e si chiamano così perché fanno da fondamenta. Se quest'ordine viene violato, nasce un disordine. E che cosa si guadagna quando si esce dall'ordine della vita? La morte.
Ogni guerra è un movimento d'amore cieco. Vediamone alcuni esempi per i recenti casi dei conflitti in Medio Oriente:
- Gli israeliani combattono per difendere la sopravvivenza di un popolo che ha conosciuto l'annientamento, e così diventano loro stessi l'annientamento nei danni di un altro popolo.
- I palestinesi combattono per avere una patria perduta e per essere visti come popolo con pari dignità, e pur di farlo si affidano a organizzazioni violente.
- Gli iraniani cercano di riscattare umiliazioni storiche subite da potenze estere, con i risultati che noi oggi vediamo.
Dove c'è guerra, c'è un'esclusione irrisolta. Intere generazioni sono cresciute senza sentirsi viste, senza un posto, escluse dalla narrazione storica dominante. E l'escluso, lo vediamo costantemente, grida.
"Grida: 'Io voglio essere visto, io voglio essere riconosciuto, io voglio che il mio dolore sia visto e anche accettato'. Finché questo non viene visto, torna sempre sotto forma di attacco, di odio, di fanatismo."
Figli che combattono guerre non loro
Sappiamo che i figli prendono su di sé il destino dei genitori; è una legge universale. Molti dei giovani che oggi imbracciano le armi in Medio Oriente stanno continuando guerre che non hanno scelto, ma che sono state trasmesse come un'eredità emotiva. È un'informazione dentro il loro sistema familiare che fa pulsare la loro psiche, coinvolgendo la biologia, gli ormoni e il sistema nervoso. Questo vale per tutti i conflitti, anche per le faide invisibili che continuano a esistere nei Balcani tra giovani che non hanno vissuto direttamente quegli eventi.
Così vediamo israeliani e palestinesi, soprattutto quelli nati dopo il 2000, combattere per eventi accaduti ben prima della loro nascita. A livello sistemico, sono ancora immersi nel trauma originale.
La grande verità invisibile: chi ha ragione ha perso
C'è una grande verità invisibile: chi ha ragione ha perso, perché la ragione divide. Chi cerca giustizia assoluta, chi dice "noi abbiamo ragione, loro torto", non è in pace e non è destinato ad avere pace. Ha bisogno che l'altro resti colpevole, che l'altro resti nemico.
Le persone si sentono un po' meglio quando soddisfano una missione sistemica, quando agiscono per una fedeltà cieca che dice "prendi il fucile e uccidi quel nemico", anche se non ha fatto loro niente di diretto. Questo significa continuare un movimento. Se invece dicessi al mio nemico "tu ed io con questa cosa qua non c'entriamo niente", questo lascerebbe un senso di colpa, che è una grande opportunità di crescita quando si è svegli e si adotta un'intelligenza emotiva.
Ma la maggior parte degli esseri umani vive di compulsioni costanti, agisce con il pilota automatico, riproducendo copioni su copioni. Questo non è vivere. Forse abbiamo vissuto davvero solo in quei piccoli frammenti d'infanzia, quando abbiamo disobbedito ai genitori e siamo saliti sull'albero, violando le regole. Altrimenti è stata solo una tempesta di compulsività. Questo riguarda quasi sicuramente oltre il 90% delle persone.
È una forma di piccola schiavitù, una fedeltà sistemica che ci porta a giustificare le nostre azioni in modo razionale. Esattamente come fanno i politici: "Dovevamo fare così, noi siamo i buoni, sono loro che hanno iniziato". Questa è fondamentalmente la razionalizzazione delle nostre allucinazioni.
La via per la pace
La verità non è né da una parte né dall'altra. Sta nel riconoscimento reciproco. Abbiamo scelto di mettere al potere le peggiori persone, quelle che si lasciano trascinare dall'amore infantile. Il mondo è in mano a "bamboccioni", e alcuni di questi hanno un gigantesco pulsante rosso. Fa parte del gioco che prima o poi lo schiaccino.
Ma il punto resta questo: la guerra continuerà a chiedere sangue per ottenere uno sguardo. Solo quando onoriamo anche il destino dell'altro, questo include in automatico anche l'altro. Ecco, solo lì la pace ha spazio e finalmente può essere vista anche lei, che si sente ultimamente molto sola.
Un abbraccio.
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