![A che serve in natura il piacere femminile? [con meditazioni]](/content/images/size/w1200/2025/04/dreamy-soft-painterly-illustration-in-th_ciUmUxYCRHueN73H7lczEw_OxvaDneyQmexZuK0KyNIdg.jpeg)
A che serve in natura il piacere femminile? [con meditazioni]
Ciao a tutti e bentornati! Recentemente ho ricevuto una bellissima email da Luisa, una donna che ha fatto un percorso con me sul piacere femminile. Sono passati alcuni mesi e mi scrive piena di entusiasmo per le cose nuove e belle che sta scoprendo e sentendo nel suo corpo. Sono davvero felice per lei!
Nella sua email, Luisa chiedeva anche qualche chiarimento teorico, ponendo una domanda che, a pensarci bene, suona quasi "maschile": qual è la funzione biologica del piacere femminile? A cosa serve per la sopravvivenza della specie? È una domanda interessante e importante, ma credo valga la pena andare anche un po' oltre.
Il piacere come linguaggio biologico di sicurezza
Spesso pensiamo al piacere solo in termini riproduttivi, ma c'è molto di più, specialmente per il corpo femminile, che è meravigliosamente progettato per ricevere, accogliere e integrare. Potremmo dire che il piacere è il primo linguaggio biologico attraverso cui il nostro organismo ci dice: "Sono al sicuro. Posso sentire. Posso esistere. Posso esserci".
Quando ci sentiamo al sicuro, possiamo aprirci a sentire pienamente, e quindi anche a godere, a riempirci della bellezza e della vitalità della vita. In natura, infatti, il piacere guida l'adattamento in senso ampio:
- Non riguarda solo la riproduzione.
- Orienta le scelte ambientali.
- Aiuta a costruire legami stabili.
- Permette di radicarsi nel proprio "territorio relazionale", che include prima di tutto il proprio corpo, il proprio "nido".
Il piacere sessuale femminile, anche quando non è finalizzato alla procreazione, ha quindi una funzione chiave: orientare la donna verso ciò che le fa bene. È come un radar interno che ci guida verso esperienze nutrienti e vitali.
Ma cosa succede quando questo radar si inceppa? Se il piacere viene bloccato da traumi passati, sensi di colpa radicati o profonda vergogna, l'organismo smette di cercare ciò che è vitale e si orienta unicamente verso ciò che percepisce come sicuro, anche se limitante. È una questione funzionale: in certi momenti, come durante una fase di stress attivo (per chi conosce le bioscienze sistemiche), il corpo semplicemente non è nella condizione di provare piacere, che invece appartiene più a una fase di rilassamento (vagotonica). Pensateci: l'orgasmo stesso è una potentissima scarica, quasi una "crisi epilettica" benefica!
Le radici profonde della rinuncia: la lealtà invisibile
Guardando la questione da una prospettiva più ampia, che include non solo la biologia ma anche le nostre radici familiari, la nostra "appartenenza", scopriamo spesso un altro livello. Come è emerso anche nel lavoro con Luisa, la rinuncia al piacere può essere una forma di lealtà invisibile verso le donne del nostro passato.
Se nel nostro sistema familiare:
- Molte antenate hanno dovuto rinunciare al piacere.
- Il piacere era legato alla colpa (magari a causa di abusi, tradimenti, silenzi pesanti).
- Il piacere era associato al pericolo (essere desiderabili esponeva a rischi, come nei tempi di guerra).
- Nessuna donna prima di noi ha potuto davvero godere liberamente.
Ecco che, a livello cellulare e inconscio, si attiva un messaggio potente:
"Non posso stare meglio di mia mamma." "Non posso permettermi più piacere di mia nonna." "Non posso desiderare di più di mia zia o della mia bisnonna." "Non posso sentirmi viva se loro hanno dovuto anestetizzarsi per sopravvivere."
In questi casi, il piacere viene equiparato a rischio, pericolo, quasi morte. La nostra "coscienza filogenetica", quella saggezza innata del nostro organismo, per fedeltà verso ciò che ha permesso la sopravvivenza (anche se a caro prezzo), tende a escludere ciò che percepisce come pericoloso. È una fedeltà antica, inconscia, che il corpo porta con sé, escludendo il piacere anche quando sarebbe a portata di mano.
Il piacere come sintomo di connessione
Possiamo quindi fare un passo ulteriore: il piacere non è il fine ultimo, ma un sintomo. È un segnale che siamo connesse con la vita, presenti nel nostro corpo. Il corpo femminile non è un ostacolo alla realizzazione (anche spirituale), ma un vero e proprio portale.
Il piacere è la manifestazione concreta del fatto che tu sei presente, sensibile, in contatto.
Potremmo quasi vederlo come un'eco dello spirito nella materia. È il momento in cui la coscienza incontra la forma, e quella forma dice "sì" alla vita che la attraversa. Chi vive dissociata dai propri sensi, dalla propria presenza, spesso non sta veramente vivendo, ma sta gestendo una situazione, magari un vecchio copione sistemico ereditato.
Da qui deriva una grande verità che vedo emergere continuamente nei percorsi che accompagno:
Solo chi si permette il piacere può donarsi senza svuotarsi. Solo chi è piena può amare davvero, senza timore, senza il freno a mano tirato. Solo chi sente può scegliere, diventando più padrona della sua esistenza, della sua felicità, della sua presenza qui.
Due meditazioni per riconnettersi
Per aiutarvi a esplorare concretamente questi temi, vi propongo due meditazioni guidate, una di seguito all'altra. La prima è più focalizzata sull'aspetto sistemico, sulle nostre radici.
Meditazione 1: Onorare le radici e riprendere il proprio posto
(Qui puoi riassumere brevemente i passaggi della meditazione senza trascriverla parola per parola, magari citando le frasi chiave da ripetere)
- Trova una posizione comoda, senti i piedi a terra, la schiena dritta ma rilassata. Chiudi gli occhi.
- Respira e porta consapevolezza al corpo, magari muovendo le dita dei piedi.
- Immagina dietro di te tua madre, poi tua nonna, la bisnonna, e tutte le donne della tua linea femminile, conosciute e sconosciute. Osserva questa catena di corpi, alcuni pieni, altri vuoti, alcuni carichi di rabbia, altri di silenzio.
- Ascolta queste parole dentro di te e, se te la senti, ripetile a voce alta:
- "Care madri, care nonne, care sorelle, io vi vedo."
- "Vedo le rinunce. Vedo i dolori. Vedo il corpo chiuso. Vedo il piacere legato."
- "Vedo la vergogna, la violenza, la fuga."
- "Per amore ho provato a portarvi. Ho creduto che se io mi negavo, vi onoravo."
- "Ma oggi vedo che non serve più. Voi siete le grandi, io sono la piccola."
- "Con amore io vi lascio le vostre storie e riprendo la mia."
- Respira profondamente, sentendo lo spazio che si crea nel tuo ventre. Sorridi.
- Mantieni gli occhi chiusi e afferma:
- "Mi prendo il mio posto nel corpo anche se prima di me non era permesso."
- "Anche se non è facile. Anche se temo."
- "Oggi io dico sì."
- Fai un bel respiro e riattivati dolcemente.
Questa è la fine della prima meditazione. Se senti che è già stato intenso, puoi fermarti qui. Ti auguro un buono sblocco e tanto piacere!
Meditazione 2: Abitare il corpo e accogliere il piacere
Se invece te la senti di proseguire, ecco la seconda meditazione.
- Chiudi di nuovo gli occhi. Porta l'attenzione al tuo corpo, al tuo organismo, non per cambiarlo o capirlo, ma solo per esserci, per riconoscere che sei qui.
- Fai un respiro profondo, sentendo l'aria che ti accarezza da dentro. Lascia andare il bisogno di capire. Oggi devi solo sentire.
- Porta l'attenzione al tuo bacino. Ascolta senza aspettative. Permetti al piacere di arrivare o non arrivare. Ricorda: qualunque cosa succeda, tu sei degna.
- Ascolta il tuo ventre come uno spazio abitato da presenza, da energia. Inspira vita, espira lentamente.
- Se senti vuoto, abitalo. Se senti dolore, ascoltalo con rispetto. Se senti qualcosa di buono, lascialo espandere senza trattenerlo.
- Porta lentamente le mani sotto l'ombelico, una sopra l'altra.
- Se te la senti, ripeti queste frasi:
- "Il mio corpo, il mio organismo è degno di piacere anche se nessuna donna prima di me l'ha vissuto."
- "Mi apro al piacere non per fuggire ma per abitare."
- "Non per cercare ma per restare."
- Ascolta il respiro come un'onda gentile. Ripeti dentro di te:
- "Il piacere non è un premio."
- "Il piacere è la mia natura che si ricorda di me e che si manifesta."
- Fai un respiro profondo, poi piano piano riapri gli occhi, restando ancora un po' con te stessa.
Magari senti poco, magari senti tanto. Qualunque cosa tu senta, è un ritorno. Un ritorno a casa, dentro di te.
Un invito a praticare
Vi consiglio di fare queste meditazioni almeno una volta a settimana, o ogni volta che sentite di esservi un po' "dimenticate" di quanto sia sacro, ma soprattutto bello, abitare il vostro organismo.
Vi auguro una buona continuazione in questo viaggio di scoperta e vi mando un forte abbraccio. A presto!
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