Gli idiomi del sistema familiare

Gli idiomi del sistema familiare

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Nĭ hăo! Per me questo saluto in mandarino, che significa "ciao" ma anche "buongiorno", è molto funzionale ed elegante. La cosa affascinante è che sta all'altra persona interpretare il mio "nĭ hăo". E questo, amici, ci introduce perfettamente al tema di oggi: quei linguaggi non detti, quegli idiomi sistemici che abitano le nostre famiglie.

Recentemente, rispondendo a diverse email (ben cinque contemporaneamente!), mi sono reso conto di quanto sia comune interrogarsi su certi comportamenti ricorrenti nelle nostre dinamiche familiari. Perché quel fratello si arrabbia sempre per comunicare? Perché quella sorella diventa ansiosa in certe situazioni con i parenti? Sono domande che toccano corde profonde e che ci portano a esplorare il concetto di "lingue sistemiche".

Per aiutarvi a visualizzare questo concetto un po' astratto, farò ricorso a qualche metafora.

Il sistema familiare: un intreccio di bolle emotive

Immaginiamo il sistema familiare come un insieme di bolle.

  • Nonna e nonno: Ognuno con la propria bolla, il proprio sistema familiare d'origine.
  • L'unione: Quando nonna e nonno si incontrano, si piacciono e formano una coppia, le loro bolle non si toccano semplicemente, ma si compenetrano, creando uno spazio nuovo che è in realtà una fusione dei loro campi.
  • La nuova generazione: All'interno di questa zona di fusione, nasce una nuova bolla, ad esempio quella di mamma. Mamma, a sua volta, incontrerà papà (con il suo bagaglio di bolle familiari) e insieme creeranno un'ulteriore composizione.
  • Noi: E così nasciamo noi, piccole bolle all'interno di un grappolo sempre più grande, una gigantesca schiuma di interconnessioni, vasta e articolata.

Questa "schiuma" fluisce, ma a volte presenta dei piccoli blocchi, che potremmo chiamare "fedeltà sistemiche" o "irretimenti". Ma cosa c'è dentro queste bolle? Quali sono gli "ingredienti del sapone"? Sono proprio quelli che chiamo idiomi, codici, linguaggi emotivi e comportamentali, non verbali.

La torre di Babele familiare: comunicare per la vita

Un'altra immagine che mi aiuta a spiegare questo concetto è quella della Torre di Babele. Ricordate il mito biblico degli uomini che volevano raggiungere il cielo costruendo una torre? Togliendo l'aspetto prettamente religioso, possiamo vedere un parallelismo:

  • L'obiettivo: Ogni sistema familiare, in fondo, ha lo scopo di "raggiungere il cielo", ovvero muovere verso la vita.
  • La condizione: Questo è possibile se tutti i membri del sistema sono "visti", riconosciuti. Se qualcuno è escluso, si crea un blocco.
  • I piani della torre: Immaginiamo che ai piani più bassi ci siano gli antenati, le generazioni più antiche. Man mano che si sale, troviamo le nuove generazioni.
  • La confusione delle lingue: Proprio come nel mito, salendo sulla torre, si incontrano persone che parlano lingue e idiomi diversi, a tal punto da non capirsi. Questo accade anche nelle famiglie: alcuni membri comunicano con la rabbia, altri con l'ansia. Sono tutti "idiomi" appresi.
"Ogni sistema familiare fa di tutto per muovere verso la vita."

L'idioma del "muto": quando i comportamenti parlano più forte delle parole

Facciamo un'altra metafora. Immaginate che io sia muto, e che tutta la mia famiglia di maschi (nonno, papà, ecc.) sia muta. Per comunicare e attirare l'attenzione, questi uomini hanno imparato che è "cosa buona e giusta" picchiare i piedi per terra o le mani contro il muro.

Io, ultima generazione, al "centesimo piano" della nostra torre di Babele familiare, vedo che questa comunicazione funziona: la gente si accorge di me. Però, mi guarda male, mi percepisce come aggressivo e non vuole interagire. A questo punto, ho due possibilità:

  1. Continuare come sempre: Dire "sono fatto così" e persistere con questo idioma, come hanno fatto mio padre, mio nonno, ecc.
  2. Cercare un nuovo movimento: Mettere in discussione me stesso e questo modo di comunicare.

La mia battaglia con i mobili IKEA: un esempio personale di idioma sistemico

Vi racconto un'esperienza personale. Anni fa, provavo un enorme stress ogni volta che dovevo montare un mobile, specialmente quelli dell'IKEA. Partivano imprecazioni (all'epoca non bestemmiavo, ma poco ci mancava), nervosismo, rabbia. Sentivo una rabbia intensa verso quel povero mobile, che ovviamente non aveva colpe.

Mi sono ricordato che mio papà faceva più o meno lo stesso. Anche solo per montare l'albero di Natale (finto, per non sacrificare una pianta), scattava lo stress, il nervosismo. Conveniva stargli alla larga, ma mia mamma, giustamente, mi diceva: "Michele, aiuta papà". E così mi toccava assisterlo in quel clima teso.

Mio padre stava applicando un "linguaggio": sentiva lo stress e doveva sfogarlo. Quello era l'idioma che utilizzava. E io, a un certo punto, ho adottato lo stesso linguaggio.

Imparare nuove lingue: dal "mutismo" al linguaggio dei segni (e oltre)

Tornando alla metafora del muto: se mi accorgo che picchiare mani e piedi mi limita, posso decidere di imparare il linguaggio dei segni. Magari scopro che è più efficace, che sembro meno aggressivo, e che le persone stanno meglio vicino a me.

Nel mio caso specifico con i mobili:

  1. Riconoscimento e ringraziamento: Ho riconosciuto che l'idioma della rabbia ("incazzarsi") era efficace come valvola di sfogo. Ho ringraziato il mio sistema per avermelo trasmesso.
  2. Esplorazione di alternative: Mi sono chiesto se potessero esistere altri idiomi altrettanto funzionali. Ho iniziato a mettere della musica, a prepararmi un caffè, a fare le cose con calma mentre montavo i mobili. E ho visto che la situazione migliorava nettamente! Questo è diventato un secondo idioma in risposta allo stesso stress (il "mutismo" della metafora).
  3. Mettere in discussione il "mutismo" stesso: Poi ho fatto un passo ulteriore. Così come ho messo in discussione l'idioma originario (la rabbia), potevo mettere in discussione anche la condizione di base (lo stress elevato per montare un tavolino). Perché dovevo per forza vivere quella situazione come qualcosa di spiacevole?

Ho iniziato a capire cosa ci fosse dietro (il lavoro che spesso facciamo in seduta). Ho cominciato a farmelo piacere, o almeno a non viverlo più con quella carica negativa. Non che ora passi le giornate a montare mobili, ma se dovessi farlo, saprei come affrontarlo diversamente: prendendomi tempo, facendo magari un po' di meditazione prima, pensando alle sfide ben più grandi affrontate dai nostri antenati, di fronte alle quali montare un armadio è davvero poca cosa.

L'impatto degli idiomi sulle relazioni

Questi linguaggi sistemici, spesso antichi e radicati (a volte purtroppo anche idiomi di violenza e aggressività che si trascinano di generazione in generazione), possono creare seri problemi. Il linguaggio "arcaico" del "picchiare i piedi" potrebbe non essere compreso dagli altri membri della famiglia attuale, che nel frattempo applicano altri linguaggi.

Se, ad esempio, mia moglie è una persona tranquilla che monterebbe quel mobile con serenità, non capirà mai il mio nervosismo. Il mio linguaggio "stressato" attiverà in lei, magari, un idioma di difesa, facendola diventare ansiosa non per il mobile, ma per il mio atteggiamento. E così, ogni volta che c'è da montare qualcosa, suonano le sirene d'allarme, creando squilibri e malumori.

Proprio come sulla Torre di Babele, più si sale (più ci si addentra nelle complessità delle relazioni attuali), più diventa cruciale chiedersi: che tipo di linguaggio parlano gli altri? Che idioma usano? Questo ci permette di adattarci nel migliore dei modi.

Diventare poliglotti dei linguaggi familiari

Quindi, il mio invito è: fate caso a voi stessi in determinate circostanze. Osservate le vostre reazioni, specialmente quelle che vi sembrano "stonate" o eccessive.

  • Quando sentite quella rabbia, quell'ansia, quel nervosismo, provate a chiedervi se sia "roba vostra" o se, guardando a come si comportavano i vostri genitori o nonni, possiate riconoscere un idioma adottato fino ad ora.
  • Ricordate che all'interno della famiglia, tra irretimenti e schemi sistemici, anche i sintomi (fisici e comportamentali) possono essere manifestazioni di questi idiomi.

Un esempio comune è la "mancanza del papà": i figli maschi che sentono questa mancanza possono inconsciamente cercare il padre e manifestare sintomi o comportamenti tipici del padre assente.

Sono temi diffusi, che partono proprio da questi concetti. Vi auguro "buoni idiomi", imparate a riconoscerli, a cambiarli se necessario. Diventate un po' poliglotti dei linguaggi familiari, non fa mai male!

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