
Gli ordini dell'aiuto
L'arte di aiutare: i 5 ordini per un sostegno che fa davvero la differenza
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Oggi voglio parlarvi di un tema che mi sta molto a cuore e che tocca le fondamenta della nostra natura: l'aiuto. Sì, perché l'essere umano non è solo un animale, ma un "animale da branco", un essere sociale per cui la collaborazione e il sostegno reciproco sono inscritti nel DNA, veri e propri meccanismi di sopravvivenza della nostra specie. Capire questo ci fa anche comprendere perché, nel corso del tempo, ci siamo perfezionati in questa capacità.
Ma attenzione: aiutare è un'arte. Non è qualcosa di puramente istintivo che facciamo sempre nel modo giusto. È una competenza che può essere appresa, compresa e affinata. Esistono modi di aiutare che sono costruttivi, che portano beneficio senza causare danni successivi, e altri modi in cui, pur mossi dalle migliori intenzioni, finiamo per aiutare male, in modo impacciato, tanto che a volte sarebbe stato quasi meglio non intervenire affatto.
Proprio per evitare di aiutare in modo "disordinato", voglio introdurvi a quelli che vengono definiti i cinque ordini dell'aiuto. Questi principi sono emersi da un'attenta osservazione, specialmente nell'ambito del movimento sistemico e familiare (spesso associati ai campi morfici o morfogenetici), e riassumono una vasta mole di conoscenze su come raggiungere un giusto equilibrio tra il dare e il ricevere. Perché, alla fine, è proprio di questo che stiamo parlando. C'è un confine sottile quando ci rendiamo disponibili, e riconoscerlo è cruciale per far sì che il nostro aiuto raggiunga il suo nobile scopo. Si tratta di un lavoro di percezione, di una costante capacità di identificare questo limite.
Quindi, diamo un'occhiata più da vicino a questi ordini, tenendo sempre a mente che non si tratta solo di donare compassionevolmente, ma di "leggere tra le righe" ciò che la situazione e la persona ci comunicano.
I cinque ordini dell'aiuto
- Primo ordine: Dare solo ciò che si possiede e accettare solo ciò di cui si ha bisogno. Sembra semplice, vero? Eppure, quante volte cadiamo nella trappola di voler dare più di quanto abbiamo o di prendere più di quanto ci serva? È fondamentale capire che sottrarre all'altro la possibilità di sostenere il peso del proprio disagio non è sempre un aiuto. Per agire correttamente, dobbiamo osservare l'altro all'interno del suo contesto più ampio, un contesto in cui è chiamato a confrontarsi per acquisire dignità e forza. Quando questo ordine viene violato, ad esempio dando più di quanto ci è concesso o accettando più di quanto necessitiamo, si crea una distanza crescente tra chi aiuta e chi riceve. Potremmo convincerci del contrario, ma le conseguenze parleranno chiaro, spesso manifestandosi come una profonda delusione. E allora sorge spontanea la domanda: "Chi sta aiutando chi?". L'aiuto, per essere efficace, deve sgorgare da un ordine superiore che noi per primi abbiamo contattato e rispettato.
- Secondo ordine: Sottomettersi alle circostanze e intervenire solo nella misura in cui esse lo consentono. Questo è un approccio discreto, ma pieno di forza. Tentare di modificare a tutti i costi una condizione esterna predefinita, magari basandoci sulla nostra immagine interiore di come le cose dovrebbero essere, significa in un certo senso voler cambiare la persona che stiamo aiutando, non rispettando ciò di cui ha veramente bisogno. "Accogliere il destino di chi desideriamo aiutare è il solo modo per intervenire seguendo l'ordine naturale." E, aggiungerei, riuscire ad accettare anche il nostro. Tutto ciò che ci spinge a modificare ciò che per natura deve manifestarsi fino in fondo crea disordine. Rappresenta una fuga dalla realtà che necessita, invece, di essere guardata negli occhi. Pensiamo anche a situazioni estreme: di fronte all'inevitabilità della morte, possiamo agire in aiuto solo guardandola profondamente e con grande umiltà.
- Terzo ordine: L'aiutatore si pone da adulto di fronte a un altro adulto che cerca aiuto. Questo ordine è particolarmente rilevante per i professionisti della relazione d'aiuto (terapeuti, counselor, ecc.), ma ha una valenza universale. Chi aiuta deve posizionarsi come un adulto che si relaziona con un altro adulto. In questo modo, si respingono i tentativi, spesso inconsci, da parte di chi chiede aiuto, di relegare l'aiutatore nel ruolo di genitore (mamma o papà). Abbiamo già capito che aiutare non è un compito facile né comodo. Esiste un confine sottile tra il dare e il ricevere aiuto, specialmente in un contesto che potremmo definire terapeutico. L'ordine naturale ci impone di rimanere distaccati e, contemporaneamente, in profondo ascolto dei movimenti dell'anima. In questo modo, la nostra attenzione non sarà solo sulla persona da aiutare, ma sull'intero contesto di appartenenza in cui è immersa. Riuscire a cogliere, tramite un ascolto sottile, questa immagine d'insieme ci permette di indirizzare la nostra energia verso la soluzione, evitando dinamiche disfunzionali come transfert e controtransfert. Ricordo sempre le parole di Bert Hellinger, che sottolineava il pericolo dell'identificazione con il cliente, quell'aspetto compassionevole tipico della figura genitoriale. Quando questo accade, "nessuno sta più aiutando nessuno, si tratta più che altro di uno stato confusionale condiviso."
- Quarto ordine: Immedesimarsi nella persona da aiutare in modo non tanto personale quanto sistemico. Per aiutare efficacemente, è bene conoscere le dinamiche che creano disordine. Se si conoscono, si può aiutare; altrimenti, è molto difficile. Questo ordine sottolinea ulteriormente l'importanza di essere presenti in modo da poter vedere non solo l'individuo che stiamo aiutando, ma anche l'intero sistema della sua famiglia di appartenenza. Guardare una persona e vederla solo come un individuo singolo, slegato dal suo contesto, ha poco senso e limita fortemente la nostra capacità di intervento.
- Quinto ordine: L'amore nei confronti di tutti, così come sono, per quanto possano essere diversi da noi. Questo è forse l'ordine più elevato e inclusivo. Si tratta di un amore che accetta l'altro nella sua interezza, con le sue differenze, senza giudizio. Gli ordini dell'aiuto, come osservati originariamente da Bert Hellinger (io, come sapete, lavoro principalmente con l'ipnosi, mentre lui è famoso per le costellazioni familiari), non si limitano al contesto terapeutico. Sono principi universali applicabili liberamente nella vita quotidiana, sempre nell'ottica del servizio al prossimo.
L'aiuto come allenamento alla percezione
Questi ordini non sono solo la parte centrale del lavoro di un terapeuta o di un counselor, ma rappresentano anche un meraviglioso allenamento alla percezione sottile nelle relazioni. E questo vale per tutti noi, non solo per i professionisti. Siamo tutti, in quanto "animali da branco", chiamati ad aiutare e ad essere aiutati. Questo continuo scambio tra dare e ricevere accresce sempre di più le nostre percezioni – e posso confermarvelo per esperienza diretta, dopo anni diventa veramente un viaggio affascinante.
Quindi, in conclusione, aiutare ha delle regole. È un servizio che offriamo agli altri e che dobbiamo compiere con umiltà, accettando l'intero contesto della persona che abbiamo di fronte. E, come ho accennato all'inizio, a volte la forma più alta di aiuto consiste nel rinunciare ad aiutare: quando la persona non vuole essere aiutata, o quando cerca in noi una figura genitoriale che non siamo e non dobbiamo essere.
Spero queste riflessioni vi siano state utili. Vi abbraccio forte, statevi bene!
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