Il posto che occupiamo nel sistema familiare nell'ottica delle vite precedenti

Il posto che occupiamo nel sistema familiare nell'ottica delle vite precedenti

Le scelte dell'anima, gli irretimenti familiari e la nostra responsabilità: una riflessione profonda

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Qualche tempo fa ho ricevuto un'email da Elisa, una di quelle riflessioni che mi piacciono un sacco, perché aprono porte su interrogativi profondi e stimolanti. Ho risposto a Elisa in modo un po' spiccio via email, suggerendole di ascoltare alcuni podcast precedenti, ma sento che le sue domande meritano uno spazio di riflessione più ampio, anche se, ve lo dico subito, non basterebbe un ciclo di seminari per sviscerare tutto a fondo!

Oggi voglio condividere con voi alcuni stralci della sua email e provare a offrire qualche spunto, non tanto per dare risposte definitive (chi può averle?), quanto per stimolare nuove prospettive e magari far nascere in voi altrettante domande.

Le domande di Elisa: un viaggio nell'anima e nel sistema

Elisa, nelle sue ricerche, ha toccato temi affascinanti. Si chiede, in sintesi:

  • Quando un'anima decide di incarnarsi, sceglie già il "film" della sua vita, il ruolo e il posto nel sistema familiare?
  • Questo "posto" include già nel pacchetto gli "irretimenti" (cioè quei legami o fardelli ereditati) collegati?
  • Se una madre incinta lavora su di sé, ad esempio con un lavoro biosistemico, liberando nodi familiari, il figlio che nascerà subirà un cambiamento nel "film" che aveva scelto?
  • E come si concilia tutto questo con la frase "ognuno è responsabile dei propri sintomi"? Quanto siamo davvero responsabili e quanto siamo influenzati dal nostro sistema familiare o gruppo animico?
"Quanto siamo responsabili? Quanto siamo indotti e coinvolti dalle dinamiche del sistema familiare o gruppo animico di riferimento di quella specifica incarnazione?" - Elisa

Come vedete, carne al fuoco ce n'è tanta! Cercherò di toccare alcuni punti essenziali che spero possano offrire a Elisa, e a tutti voi, nuovi spunti di riflessione.

Oltre l'individuo: uno sguardo collettivo

La prima cosa che mi viene da osservare, leggendo le riflessioni di Elisa, è che spesso tendiamo ad affrontare temi metafisici – che vanno oltre il fisico, oltre la realtà come la percepiamo – usando categorie molto "fisiche", come quella dell'individuo singolo con un prima, un durante e un dopo ben definiti.

Ma se ci pensiamo bene, anche a un livello puramente bio-organico, senza scomodare l'anima, il concetto di "individuo" come entità separata è limitante. Pensiamo al mondo animale: un'ape che si sacrifica pungendo un intruso per difendere l'alveare. Se la consideriamo come singolo individuo, la sua azione non ha senso, perché la porta alla morte. Ma se allarghiamo lo sguardo alla collettività, alla colonia, allora tutto assume un significato profondo: l'esemplare agisce per la sopravvivenza del gruppo, del sistema.

"Noi vediamo che l'animale è disposto a sacrificarsi per il branco. È un codice che buona parte degli animali ha."

Questo vale per gli insetti, per i mammiferi, e in modo ancora più complesso, per noi esseri umani. Nelle sedute di ipnosi che conduco da anni, emerge spesso come una determinata emozione, una rabbia, una tristezza, persino tendenze specifiche, non appartengano propriamente alla persona che le vive, ma siano riflesso di dinamiche di altri membri della famiglia, a volte anche molto distanti nel tempo.

Cosa emerge dalle sedute? Ipnosi e costellazioni

Nelle mie sessioni, spesso emergono quelli che potrei definire "ricordi di vite passate". Non intendo dire che siano prove scientifiche di reincarnazioni specifiche, ma piuttosto che la persona rievoca, con gli strumenti mentali che ha oggi, dinamiche ed esperienze che sono chiaramente estranee alla sua identificazione e storia personale attuale.

Questo fenomeno diventa particolarmente evidente con strumenti come le costellazioni sistemiche, specialmente quelle biosistemiche. In un gruppo, spesso di sconosciuti, una persona scelta per rappresentare, ad esempio, la madre di un cliente (senza nemmeno sapere chi sta rappresentando), inizia a manifestare comportamenti, sensazioni o parole proprie di quella madre, che magari non è presente o è addirittura defunta. Come è possibile?

"Siamo un movimento collettivo, siamo un tutto, solo che appunto noi ci facciamo ancora un po' incantare dalla superficie del nostro essere animale."

Questo ci suggerisce che siamo parte di un campo, di un "tutto" interconnesso, ben oltre i limiti della nostra pelle, delle nostre ossa, del nostro sistema nervoso. Se già a livello bio-organico l'idea di un individuo isolato è un'illusione, immaginate quanto più questo concetto si sfumi quando ci addentriamo in livelli più "animici", dove i confini della materia svaniscono.

Quindi, tornando alla domanda di Elisa sulla "scelta" dell'anima, forse dovremmo immaginarla non come la scelta di un singolo attore, ma come l'entrata in scena di un musicista in un'orchestra già esistente, dove la sua parte si inserisce in una melodia collettiva.

Gli "irretimenti": non malattie, ma movimenti intelligenti

Elisa si chiede se una madre, lavorando su di sé, possa liberare il figlio da futuri irretimenti. Qui è importante chiarire un punto fondamentale:

"L'irretimento non è una malattia... L'irretimento ha uno scopo, l'irretimento è un movimento intelligente in fondo del sistema del campo morfogenetico."

Pensare di "liberare" qualcuno da un irretimento è un po' come voler proteggere un bambino indigeno dell'Himalaya dalle caratteristiche genetiche che gli permettono di vivere ad alta quota, con poco ossigeno. Quelle caratteristiche sono parte del "pacchetto" che gli permette di sopravvivere e prosperare in quel specifico ambiente. Gli irretimenti, in un certo senso, sono parte del nostro "DNA sistemico", ci legano alla nostra comunità di origine e spesso portano con sé delle risorse o delle lezioni importanti per l'intero sistema.

Inoltre, come potremmo mai prevenire qualcosa di cui non siamo a conoscenza? Immaginiamo un nonno che ha commesso un atto grave, di cui nessuno sa nulla. La nipote, anni dopo, potrebbe manifestare delle tendenze o dei disagi collegati a quell'evento taciuto. La madre, ignara, non avrebbe mai potuto "lavorare" preventivamente su quel specifico tema.

La responsabilità: una forza, non un giudizio morale

Arriviamo ora al nodo cruciale della responsabilità, una parola che uso spesso: "Ognuno è responsabile dei propri sintomi, del suo destino". Ma cosa intendo? Non parlo di una responsabilità morale nel senso di "colpa". Facciamo un esempio: se affido il mio patrimonio a qualcuno e questo lo sperpera, quella persona ha una responsabilità morale (e forse legale) per le sue azioni.

La responsabilità di cui parlo io è più una forza, un'energia sistemica. Pensate alla salute: ognuno è responsabile della propria salute. Questo non è un giudizio. Quando una persona, di fronte a un sintomo, va dal medico e, in un certo senso, "svuota" la sua responsabilità addosso al dottore dicendo "fai tu, ti affido la mia vita", sta cedendo una forza, un'energia. Un altro esempio lampante è quello dei genitori che divorziano. Se non si assumono ognuno il proprio 50% di responsabilità per la fine della relazione, ma uno scarica la "colpa" sull'altro, quel "non detto", quella responsabilità non assunta, spesso ricade energeticamente sui figli, che nel tempo potrebbero sentire il bisogno di "espiare" qualcosa che non gli appartiene.

"Quindi è in questo senso la responsabilità. È evidente che chi non conosce le leggi biologiche... non è che lui non abbia delle responsabilità, semplicemente è altalenante la sua consapevolezza."

Chi, come chi frequenta l'Accademia, inizia a conoscere queste dinamiche, perde un po' la "scusa dell'ignoranza" e, di conseguenza, assume una presa maggiore su questa responsabilità energetica.

Il "film" della vita e la dimensione del tempo

Elisa parla del "film" della vita. È una metafora utile, ma come ogni metafora, ha i suoi limiti. Un film ha un inizio, uno sviluppo e una fine. Noi concepiamo la vita così per comodità, perché siamo immersi nella dinamica del prima, dell'adesso e del dopo. Ma questa percezione lineare del tempo è strettamente legata al nostro essere animali, al nostro corpo fisico.

Cosa succede quando usciamo da questa dinamica? Potremmo ipotizzare una dimensione di eternità, non come un tempo che dura per sempre, ma come un "istante infinito", un presente continuo che non inizia e non finisce. Se il tempo terreno è una linea orizzontale, forse l'aldilà, la dimensione dell'anima, potrebbe essere concepita come una linea verticale, dove tutto è compresente.

Conclusione: semi per nuove riflessioni

Non so se queste riflessioni abbiano chiarito o forse confuso ulteriormente le idee, ma spesso è proprio nei momenti di grande confusione che nascono gli stimoli più potenti per crescere e sviluppare nuovi pensieri. Non ho volutamente toccato temi come karma e dharma, perché il discorso si sarebbe allungato all'infinito.

Il mio invito, per Elisa e per tutti voi, è di continuare a porvi queste domande meravigliose, magari davanti a un buon bicchiere di vino, come dico sempre, e di non ancorarvi troppo rigidamente ai concetti. A volte, gli elementi più importanti sono quelli che, in un primo momento, non vediamo.

Un abbraccio fortissimo e a presto!

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